venerdì 30 dicembre 2016

Banditi e terroristi...

Banditi e terroristi...

Berlino: Attentato al mercatino di Charlottemburg

L'attentato di Berlino, un attacco terroristico che il 19 dicembre scorso ha provocato 12 morti e 56 feriti tra gli avventori di un mercatino di Natale di Berlino, è stato compiuto in una maniera insolita stando agli schemi classici dell’estremismo islamico. Un autoarticolato con targa polacca, proveniente dall'Italia, ha investito la folla al mercatino di Natale del quartiere berlinese a Breitscheidplatz, nelle vicinanze della Kaiser-Wilhelm-Gedächtniskirche di Charlottenburg.

Ricordiamo che un altro attacco terroristico è stato compiuto utilizzando un camion come arma mortale, la scorsa estate il teatro dell’attentato fu Nizza, dove un camion venne utilizzato per investire ed uccidere numerosi turisti che assistevano alle celebrazioni della Festa della Repubblica sulla promenade des Angleis.

Il veicolo, un autoarticolato Scania R 450 di colore nero, con targa polacca e di proprietà della società di autotrasporto Usługi Transportowe Ariel Żurawski di Sobiemyśl stava trasportando sbarre metalliche ritirate presso lo stabilimento torinese della ThyssenKrupp e dirette a Berlino. Il titolare della società di trasporto, Ariel Żurawski, ha confermato di essere rimasto in contatto fin nel primo pomeriggio, Robert Łukasz Urban, che si trovava alla guida del mezzo. L'autista era giunto con un giorno di anticipo al magazzino di Berlino e avrebbe dovuto attendere tutta la notte prima di poter scaricare il camion la mattina seguente.

In base alle analisi del GPS di bordo e alle irregolarità riscontrate sull'accensione e spegnimento del motore, si sospetta che il camion sia stato dirottato dopo le ore 16.00. Il camion rubato proveniente da Hardenbergstraße è entrato nel mercatino di Natale allestito a Breitscheidplatz a Charlottenburg, travolgendo bancarelle e clienti per circa 50. Dopo l'impatto, diversi testimoni hanno visto l’attentatore lasciare il camion e fuggire versoTiergarten, inseguito da un testimone. Dopo l'attentato, è stato rivenuto nell'abitacolo del camion il corpo senza vita dell'autista polacco, ucciso da un colpo d'arma da fuoco di piccolo calibro, probabilmente dall'autore dell'attentato.

Gli investigatori ritengono che Urban fosse ancora vivo quando il camion ha raggiunto Breitscheidplatz e che sia stato accoltellato nel tentativo di fermare l'attacco, afferrando il volante e costringendo il camion a virare a sinistra e a schiantarsi, salvando in tal modo altre vite. L'arma da fuoco non è stata rinvenuta sul luogo dell'attentato.

I video delle telecamere di sorveglianza della stazione di Lione immortalano il passaggio di Anis Amri giovedì 22 dicembre, tre giorni dopo l’attentato al mercatino di Natale a Berlino. Ed è proprio qui che il killer 24enne avrebbe acquistato, pagando in contanti, il biglietto del treno per Milano, con corrispondenza a Chambery, in Savoia. A darne notizia Bfm-Tv, che cita una fonte vicina alle indagini: “Un uomo che corrisponde al killer è stato avvistato nel pomeriggio del 22 dicembre alla stazione di Lione. L’uomo era solo”.

Amri quando è stato ucciso aveva con sé due biglietti ferroviari per la tratta Lione-Chambery-Milano, ma solo uno dei due è stato ritrovato vidimato. Fino ad ora, della fuga solitaria dell’attentatore di Berlino si conosceva il passaggio a Chambery, dove risulta abbia preso il Tgv il 22 dicembre alle 17.44, per arrivare alla stazione di Torino intorno alle 20.30. Quindi il viaggio con il Regionale fino a Milano, dove il tunisino è arrivato alla Stazione Centrale verso l’una di notte del 23 dicembre. Due ore dopo, il fermo da parte degli agenti di Polizia. Nella, Anis Amri, il sospetto attentatore, è stato ucciso a Sesto San Giovanni (Milano) durante un controllo di polizia all'esterno della locale stazione ferroviaria. La responsabilità dell'attentato è stata rivendicata dal cosiddetto Stato Islamico, con un video di propaganda diffuso attraverso l'agenzia di stampa Amaq.

La beffa di questa vicenda pare essere l’applicazione di una legge del 1976 esclude le vittime di Berlino dai risarcimento. Una norma assurda che ha sollevato le proteste di un gruppo di associazioni. Non ci sarà alcun risacimento per i feriti e per le famiglie delle vittime della strage di Berlino. Se Anis Amri ha tolto loro la vita e la gioia del Natale, la burocrazia gli toglierà pure il briciolo di sostegno che può dare un risarcimento.

In Germania, infatti, è in vigore una legge del 1976 sui "risacimenti alle vittime di atti di violenza" che al comma 11 è lapidaria. Le disposizioni non si applicano ai danni provocati da un aggressore che abbia agito "usando un qualsiasi automezzo oppure un rimorchio". Secondo quanto scrive il quotidiano "La Stampa", in Germania sarebbe già scoppiata la polemica. A protestare è Roland Weber, delegato di Berlino per la difesa degli interessi delle vittime di reati violenti, che chiede da tempo una riforma della legge. Le famiglie delle vittime potranno allora godere solo delle "prestazioni dell’Ufficio federale della Giustizia per le vittime di attentati terroristici" oppure di "un fondo per le vittime di incidenti stradali". Visto che già esiste questo fondo, negli anni '70 il Parlamento tedesco pensa di separare escludere dalle cause di "morte violenta" gli omicidi commessi con mezzi di trasporto. Probabilmente non si immaginava che nel 2016 Anis Amri avrebbe fatto una strage guidandi un tir.

Il problema è che a differenza dei risarcimenti alle vittime di atti di violenza, il fondo per gli incidenti stradali ha un massimale di spesa: 7,5 milioni di euro. Qualsiasi sia il numero delle vittime. Per fortuna il ministro del Lavoro ha già promesso che se necessario verrà cambiata la legge.

E’ di questi giorni, la notizia, della posa di una targa, a perenne ricordo di Francesco Demichelis, un bandito, detto “il biondin” cavallante e poi conduttore di carri. La targa è stata apposta in un piccolo cimitero del biellese, dove fu tumulata la salma de “il biondin”. La carriera banditesca del Demichelis, iniziò in maniera ben diversa, rispetto a quella dell’attentatore berlinese. Durante un trasporto notturno nella primavera del 1898 fu aggredito da un malintenzionato, che affrontò ed uccise. Spaventato dalle possibili reazioni, ebbe timore di essere accusato di omicidio e si diede alla macchia, prima unendosi alla banda di Luigi Fiando detto il Moretto.

Elegante, forbito, educato, amante delle feste e delle belle donne, il Biondin amava le luci e la vita delle grandi città, trascorse infatti molto tempo a Novara e Milano a godere degli agi tipici dei grossi centri, e ostentava doti da vero viveur cittadino, pur operando nelle campagne tra BiellaRobbioVercelli e Novara, terre di risaie e mondine. Divenuto presto capo della banda, si specializzò nei furti di merci dai treni fermi nelle stazioni, non disdegnando i furti in gioiellerie, da cui ricavava gli ori che spesso donava alle sue numerose amanti, e botteghe di sarti, permettendosi così abiti sempre nuovi, eccentrici e alla moda. Fuggì dalle forze dell'ordine in almeno due occasioni. In seguito a questi fatti fu processato in contumacia e condannato all'ergastolo.

La sera del 7 giugno 1905, mentre partecipava ad una festa di mondine presso San Damiano, fecero irruzione alcuni carabinieri. Il Biondin si diede alla fuga, inseguito dal giovane agente Raffaele Soverini. Vistosi braccato, il bandito esplose alcuni colpi di pistola che colpirono il carabiniere a un fianco e alla mano destra. L'agente rispose al fuoco con la carabina d'ordinanza, colpendolo al petto e ponendo così fine alle gesta del "Biondin".

Più tardi il Soverini dichiarò di non aver riconosciuto subito nel fuggitivo il famigerato bandito, ma di averlo creduto un banale delinquente in fuga. Il carabiniere fu premiato per il suo eroismo con tre mesi di licenza presso il suo paese natale e un encomio personale dei duchi d'Aosta. Inoltre il giornale locale La Sesia lanciò per riconoscenza una sottoscrizione in suo favore, raccogliendo in tutto 336 lire.


Il fatto che sia stata apposta una targa perenne ricordo del bandito nel cimitero dove erano tumulate le sue spoglie e non si faccia menzione del Carabiniere che pose fine alle sue scorribande, ci fa riflettere. Speriamo che tra cento anni, a Sesto San Giovanni, si ricordino gli agenti di polizia che hanno fermato Anis Amri e non l’attentatore stesso.

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