Banditi e
terroristi...
![]() |
| Berlino: Attentato al mercatino di Charlottemburg |
L'attentato di Berlino, un attacco terroristico che il
19 dicembre scorso ha provocato 12 morti e 56 feriti tra gli avventori di
un mercatino di Natale di Berlino, è stato compiuto in una maniera
insolita stando agli schemi classici dell’estremismo islamico. Un autoarticolato con targa polacca, proveniente dall'Italia, ha investito la folla al mercatino di Natale del quartiere berlinese a Breitscheidplatz,
nelle vicinanze della Kaiser-Wilhelm-Gedächtniskirche di Charlottenburg.
Ricordiamo che un altro attacco terroristico è stato compiuto utilizzando
un camion come arma mortale, la scorsa estate il teatro dell’attentato fu
Nizza, dove un camion venne utilizzato per investire ed uccidere numerosi
turisti che assistevano alle celebrazioni della Festa della Repubblica sulla promenade
des Angleis.
Il veicolo, un autoarticolato Scania R 450 di colore nero, con targa
polacca e di proprietà della società di autotrasporto Usługi Transportowe Ariel Żurawski di Sobiemyśl stava
trasportando sbarre metalliche ritirate presso lo stabilimento torinese della
ThyssenKrupp e dirette a Berlino. Il titolare della società di
trasporto, Ariel Żurawski, ha confermato di essere rimasto in contatto fin nel
primo pomeriggio, Robert Łukasz Urban, che si trovava alla guida del mezzo. L'autista
era giunto con un giorno di anticipo al magazzino di Berlino e avrebbe dovuto attendere
tutta la notte prima di poter scaricare il camion la mattina seguente.
In base alle analisi del GPS di bordo e alle irregolarità riscontrate
sull'accensione e spegnimento del motore, si sospetta che il camion sia stato
dirottato dopo le ore 16.00. Il camion rubato proveniente da Hardenbergstraße è
entrato nel mercatino di Natale allestito a Breitscheidplatz a Charlottenburg,
travolgendo bancarelle e clienti per circa 50. Dopo l'impatto, diversi
testimoni hanno visto l’attentatore lasciare il camion e fuggire versoTiergarten, inseguito da un testimone. Dopo l'attentato, è stato
rivenuto nell'abitacolo del camion il corpo senza vita dell'autista polacco,
ucciso da un colpo d'arma da fuoco di piccolo calibro, probabilmente
dall'autore dell'attentato.
Gli investigatori ritengono che Urban fosse ancora vivo quando il camion ha
raggiunto Breitscheidplatz e che sia stato accoltellato nel tentativo di
fermare l'attacco, afferrando il volante e costringendo il camion a virare a
sinistra e a schiantarsi, salvando in tal modo altre vite. L'arma da fuoco
non è stata rinvenuta sul luogo dell'attentato.
I video delle telecamere di sorveglianza della
stazione di Lione immortalano il passaggio di Anis Amri giovedì 22 dicembre,
tre giorni dopo l’attentato al mercatino di Natale a Berlino. Ed è proprio qui
che il killer 24enne avrebbe acquistato, pagando in contanti, il biglietto del
treno per Milano, con corrispondenza a Chambery, in Savoia. A darne notizia
Bfm-Tv, che cita una fonte vicina alle indagini: “Un uomo che corrisponde al killer è stato avvistato nel pomeriggio del
22 dicembre alla stazione di Lione. L’uomo era solo”.
Amri quando è stato ucciso aveva con sé due biglietti
ferroviari per la tratta Lione-Chambery-Milano, ma solo uno dei due è stato
ritrovato vidimato. Fino ad ora, della fuga solitaria dell’attentatore di
Berlino si conosceva il passaggio a Chambery, dove risulta abbia preso il Tgv
il 22 dicembre alle 17.44, per arrivare alla stazione di Torino intorno alle 20.30. Quindi il viaggio con il Regionale fino a Milano, dove il tunisino
è arrivato alla Stazione Centrale verso l’una di notte del 23 dicembre. Due ore
dopo, il fermo da parte degli agenti di Polizia. Nella, Anis Amri, il sospetto
attentatore, è stato ucciso a Sesto San Giovanni (Milano) durante un controllo di polizia all'esterno
della locale stazione ferroviaria. La responsabilità dell'attentato è stata rivendicata
dal cosiddetto Stato Islamico, con un
video di propaganda diffuso attraverso l'agenzia di stampa Amaq.
La beffa di questa vicenda
pare essere l’applicazione di una legge del 1976 esclude le vittime di Berlino dai risarcimento. Una norma assurda
che ha sollevato le proteste di un gruppo di associazioni. Non ci sarà alcun risacimento per i feriti e per le
famiglie delle vittime della strage di Berlino. Se Anis Amri ha tolto loro la vita e la gioia del Natale,
la burocrazia gli toglierà pure il briciolo di sostegno che può dare un
risarcimento.
In Germania, infatti, è
in vigore una legge del 1976 sui "risacimenti alle vittime di atti di
violenza" che al comma 11 è lapidaria. Le disposizioni non si applicano ai
danni provocati da un aggressore che abbia agito "usando un qualsiasi automezzo
oppure un rimorchio". Secondo quanto scrive il quotidiano "La Stampa", in
Germania sarebbe già scoppiata la polemica. A protestare è Roland Weber, delegato di
Berlino per la difesa degli interessi delle vittime di reati violenti, che
chiede da tempo una riforma della legge. Le famiglie delle vittime potranno
allora godere solo delle "prestazioni dell’Ufficio federale della
Giustizia per le vittime di attentati terroristici" oppure di "un
fondo per le vittime di incidenti stradali". Visto che già esiste questo
fondo, negli anni '70 il Parlamento tedesco pensa di separare escludere dalle
cause di "morte violenta" gli omicidi commessi con mezzi di
trasporto. Probabilmente non si immaginava che nel 2016 Anis Amri avrebbe fatto una strage guidandi un tir.
Il problema è che a differenza dei risarcimenti alle vittime di atti
di violenza, il fondo per
gli incidenti stradali ha un massimale di spesa: 7,5 milioni di euro. Qualsiasi
sia il numero delle vittime. Per fortuna il ministro del Lavoro ha già promesso
che se necessario verrà cambiata la legge.
E’ di questi giorni, la notizia, della posa di
una targa, a perenne ricordo di Francesco Demichelis, un bandito, detto “il biondin” cavallante e
poi conduttore di carri. La targa è stata apposta in un piccolo cimitero del
biellese, dove fu tumulata la salma de “il biondin”. La carriera banditesca del
Demichelis, iniziò in maniera ben diversa, rispetto a quella dell’attentatore
berlinese. Durante un trasporto notturno nella primavera del 1898 fu aggredito
da un malintenzionato, che affrontò ed uccise. Spaventato dalle possibili
reazioni, ebbe timore di essere accusato di omicidio e si diede alla macchia,
prima unendosi alla banda di Luigi Fiando detto il Moretto.
Elegante, forbito, educato, amante delle feste e delle belle donne, il
Biondin amava le luci e la vita delle grandi città, trascorse infatti molto
tempo a Novara e Milano a godere degli agi tipici dei
grossi centri, e ostentava doti da vero viveur cittadino, pur
operando nelle campagne tra Biella, Robbio, Vercelli e Novara, terre di risaie e mondine. Divenuto presto capo della banda,
si specializzò nei furti di merci dai treni fermi nelle stazioni, non
disdegnando i furti in gioiellerie, da cui ricavava gli ori che spesso donava
alle sue numerose amanti, e botteghe di sarti, permettendosi così abiti sempre
nuovi, eccentrici e alla moda. Fuggì dalle forze dell'ordine in almeno due
occasioni. In seguito a questi fatti fu processato in contumacia e condannato
all'ergastolo.
La sera del 7 giugno 1905, mentre partecipava ad una festa di mondine
presso San Damiano, fecero irruzione alcuni carabinieri. Il Biondin si diede
alla fuga, inseguito dal giovane agente Raffaele Soverini. Vistosi braccato, il
bandito esplose alcuni colpi di pistola che colpirono il carabiniere a un
fianco e alla mano destra. L'agente rispose al fuoco con la carabina
d'ordinanza, colpendolo al petto e ponendo così fine alle gesta del "Biondin".
Più tardi il Soverini dichiarò di non aver riconosciuto subito nel
fuggitivo il famigerato bandito, ma di averlo creduto un banale delinquente in
fuga. Il carabiniere fu premiato per il suo eroismo con tre mesi di licenza
presso il suo paese natale e un encomio personale dei duchi d'Aosta. Inoltre il
giornale locale La Sesia lanciò per riconoscenza una
sottoscrizione in suo favore, raccogliendo in tutto 336 lire.
Il fatto che sia stata apposta una targa perenne ricordo del bandito nel
cimitero dove erano tumulate le sue spoglie e non si faccia menzione del
Carabiniere che pose fine alle sue scorribande, ci fa riflettere. Speriamo che
tra cento anni, a Sesto San Giovanni, si ricordino gli agenti di polizia che
hanno fermato Anis Amri e non l’attentatore stesso.




